TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA DI MESSINA 
 
    Riunito in Camera di consiglio nelle persone dei signori: 
        1) dott. Nicola Mazzamuto, Presidente relatore; 
        2) dott.ssa Gemma Occhipinti, magistrato di sorveglianza; 
        3) dott. Vittorio Crupi, esperto; 
        4) dott. Fabio Giuseppe Bilardi, esperto; 
    Sciogliendo la serva di decidere all'udienza del 18 dicembre 2019
nel procedimento di sorveglianza promosso da C. M., nato a il  ,  con
istanza di riabilitazione in relazione alle  condanne  riportate  nel
certificato del Casellario giudiziale; 
    Letta l'istanza e gli altri atti del procedimento; 
    Ritenuta la propria giurisdizione e competenza; 
    Ritenuta l'ammissibilita' dell'istanza, ricorrendo le  condizioni
previste dall'art. 179 del codice penale in ordine all'espiazione  ed
estinzione delle pene ed al decorso temporale dei termini prescritti; 
    Ai fini del presente  giudizio  di  riabilitazione,  si  appalesa
rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita'
costituzionale degli articoli 667, comma 4, e 678,  comma  1-bis  del
codice di procedura penale, in relazione agli articoli 178 e ss.  del
codice penale e 683 codice di procedura penale, per contrasto con gli
articoli 24, 27, 111 e 117 della Costituzione. 
A) Sotto il profilo della rilevanza. 
    Gli articoli 667, comma 4, e  678,  comma  1-bis  del  codice  di
procedura penale,  stabiliscono  che  la  materia  sostanziale  della
riabilitazione venga trattata nella forma processuale del rito cd. de
plano. La  giurisprudenza  consolidata  dell'Autorita'  nomofilattica
(cfr. ex multis  l'ordinanza  n.  19826  del  16  aprile  2019  della
Cassazione acquisita in atti) ha statuito l'obbligatorieta' del  rito
semplificato  nelle  materie  per  cui  e'  previsto  dalla  legge  e
l'irritualita'   dell'immediata    trattazione    con    procedimento
giurisdizionale disposto ope iudicis con contraddittorio pieno,  pena
la retrocessione procedimentale. 
    Si  aggiunga  che  la  rilevanza  della  sollevata  questione  di
incostituzionalita' deriva non solo da  tale  passaggio  obbligatorio
attraverso le «forche  caudine»  del  rito  de  plano  sancito  dalla
giurisprudenza nomofilattica, ma anche dalla considerazione che - pur
ipotizzando  di  disattendere  l'indirizzo  giurisprudenziale   della
Suprema Corte e rimettendo la scelta del rito, se  non  all'arbitrium
iudicis,  alla  discrezionalita'   dell'organo   procedente   -   non
verrebbero comunque soddisfatte le esigenze sostanziali e processuali
sottese ai plurimi profili di  incostituzionalita'  della  disciplina
impugnata. 
B) Sotto il profilo della non manifesta infondatezza della  questione
di legittimita' sollevata. 
    La questione giuridica che  si  solleva  d'ufficio  attiene  alla
incompatibilita' delle citate disposizioni di cui agli articoli  667,
comma 4, e 678, comma 1-bis del codice  di  procedura  penale  -  con
particolare riferimento al rito previsto in materia di riabilitazione
di cui agli articoli 178 e ss. del codice penale e 683 del codice  di
procedura penale - rispetto agli articoli 24, 27,  111  e  117  della
Costituzione  (quest'ultimo  in  quanto  parametro   interposto   per
l'applicazione  del  diritto  sovrannazionale  e,  nello   specifico,
dell'art. 6 della Convenzione europea dei Diritti dell'uomo). 
    Al fine di valutare la legittimita'  costituzionale  delle  norme
procedurali denunziate, e' necessario e opportuno,  in  primo  luogo,
esaminare l'esatta portata e  la  rilevanza  specifica  dei  principi
costituzionali   richiamati.   Con   riguardo   all'art.   27   della
Costituzione, sebbene la  Giurisprudenza  costituzionale  oscilli  in
ordine  al  finalismo  rieducativo   della   pena   tra   la   teoria
polifunzionale e la teoria monofunzionale e le loro  varianti,  resta
il dato inoppugnabile chel'unica funzione  della  pena  espressamente
menzionata in Costituzione e' quella rieducativa che, al di  la'  del
problema del bilanciamento con le altre funzioni e  finalita'  e  dei
loro rapporti in termini di prevalenza o di equivalenza, non puo' non
assumere un posto eminente nella gerarchia dei valori costituzionali.
Se tale e' il rango costituzionale del finalismo rieducativo, la  sua
estensione non puo' che abbracciare l'intera  vicenda  penale:  dalla
previsione incriminatrice e  sanzionatoria  -  del  legislatore  alla
commisurazione giudiziale della  pena  nel  processo  di  cognizione,
all'esecuzione penale e penitenziaria, all'ampio spettro delle misure
alternative alla detenzione nel  procedimento  di  sorveglianza  ....
usque ad riabilitationem ... et ultra! 
    Invero, il finalismo rieducativo non puo'  non  predicarsi  anche
dell'istituto della riabilitazione che  si  colloca  oltre  il  tempo
dell'esecuzione della pena principale di cui presuppone l'intervenuta
estinzione ed il decorso da essa di un congruo  lasso  temporale,  in
cui il condannato dimostri il  suo  ravvedimento  operoso  con  prove
effettive e costanti di buona condotta, e si proietta  nel  settennio
successivo alla sua concessione in cui  il  soggetto  riabilitato  e'
chiamato ad astenersi dalla commissione di reati, pena la revoca  del
beneficio in una sorta di «penalita' regressiva». 
    Con riguardo agli articoli 24, 111 e 117 della Costituzione  e  6
della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e
delle  liberta'  fondamentali,  occorre  richiamare  i   fondamentali
principi del giusto processo in ordine alle garanzie del  diritto  di
difesa e del contraddittorio processuale, alla formazione della prova
nell'immediatezza, oralita' e concentrazione di tale  contraddittorio
ed alla pubblicita' dell'udienza e occorre riaffermare la centralita'
di tali principi, non solo nel giudizio di cognizione, ma  anche  nel
procedimento di esecuzione e di sorveglianza. 
    In  relazione   al   procedimento   di   sorveglianza,   assumono
particolare  valore  e  significato   nel   presente   giudizio   gli
insegnamenti della Corte europea dei diritti dell'uomo sia in  ordine
all'indispensabilita' della partecipazione personale dell'interessato
nei procedimenti giurisdizionali che comportano l'accertamento  della
sua personalita', del suo carattere o del suo stato mentale, al  fine
di consentire al giudice di intrattenere un rapporto diretto  con  il
soggetto e di ricavare a personal impression of the applicant, sia in
ordine alla  configurabilita'  della  violazione  dell'art.  6  della
Convenzione in caso  di  assenza  di  pubblica  udienza,  laddove  si
prevede che ogni persona ha diritto a che la sua causa sia  esaminata
equamente, pubblicamente ed entro un certo termine ragionevole da  un
Tribunale indipendente ed  imparziale  (Corte  EDU  8-2-00  Cooke  c.
Austria; 10-2-02 Waite c. Regno  Unito;  6.10.04,  Dondarini  c.  San
Marino, 25-4-13, Zahirovic c. Croazia). 
    Assumono, altresi', particolare rilievo in  subiecta  materia  le
pronunce della  Corte  costituzionale  che  hanno  affermato  che  la
pubblicita'  del  giudizio,  specie  di  quello  penale,  costituisce
principio connaturato ad un  ordinamento  democratico  fondato  sulla
sovranita' popolare, cui  deve  conformarsi  l'amministrazione  della
giustizia,  la  quale,  in  forza  dell'art.  101,  comma   1   della
Costituzione, trova in quella sovranita' la sua legittimazione e  che
la pubblicita' delle procedure giudiziarie tutela le persone soggette
alla giurisdizione  contro  una  giustizia  segreta,  che  sfugge  al
controllo  del  pubblico,  e  costituisce  anche  uno  strumento  per
preservare la fiducia nei giudici, contribuendo cosi' a realizzare lo
scopo dell'art. 6, paragrafo  1  della  Convenzione  europea  per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali,
ossia l'equo processo. Come attestano  le  eccezioni  previste  nella
seconda parte della norma, questa non impedisce,  in  assoluto,  alle
autorita' giudiziarie di derogare  al  principio  di  pubblicita'  in
udienza. La stessa Corte europea ha ritenuto  che  alcune  situazioni
eccezionali, attinenti alla natura  delle  questioni  da  trattare  -
quale, ad esempio, il carattere altamente tecnico del  contenzioso  -
possano giustificare che si faccia o  meno  un'udienza  pubblica.  In
ogni caso l'udienza a porte chiuse, per tutta o parte  della  durata,
deve essere strettamente imposta dalle circostanze della causa» (cfr.
ex multis Corte costituzionale 12/1979, 50/1989, 69/1991, 373/1992  e
97/2015). 
    Con specifico riferimento  al  procedimento  di  sorveglianza  in
materia di misure di sicurezza, di misure alternative alla detenzione
e nelle altre materie di competenza del Tribunale di sorveglianza, la
Corte costituzionale con le sentenze n.  135/2014  e  n.  97/2015  ha
sancito, in capo al soggetto interessato, il diritto potestativo alla
celebrazione del rito nelle forme dell'udienza pubblica. 
    Alla luce dei principi costituzionali del giusto processo  e  dei
chiari orientamenti della giurisprudenza costituzionale  ed  europea,
come sopra esaminati, occorre collocare «in cima al monte» il modello
ideale di  processo  penale  con  contraddittorio  pieno  ed  udienza
pubblica  che  rispecchi  tutte  le  caratteristiche  strutturali   e
funzionali del giusto processo. Nell'attuale ordinamento  processuale
italiano,  nell'ambito  del   procedimento   di   esecuzione   e   di
sorveglianza, e' riscontrabile una varieta' di moduli  procedimentali
che derogano, in tutto o in parte, a tale modello. 
        1) Il rito camerale con contraddittorio pieno e  con  udienza
pubblica, non in quanto  prevista  ex  lege  come  forma  processuale
ordinaria, sibbene come  conseguenza  della  scelta  potestativa  del
soggetto interessato alla stregua delle pronunce additive della Corte
costituzionale sopra esaminate. 
        2) Il rito camerale con contraddittorio pieno e senza udienza
pubblica, in quanto non richiesta dal soggetto interessato. 
        3) Il rito  de  plano  nel  primo  grado  di  giudizio  senza
contraddittorio, ne' originario ne' differito, come nei  procedimenti
in materia  di  liberazione  anticipata,  di  competenza  dell'organo
monocratico con possibilita' di reclamo al Tribunale di sorveglianza. 
        4)  Il  rito  de  plano  con  contraddittorio   eventuale   e
differito, con facolta' dell'interessato e delle parti processuali di
proporre opposizione contro l'ordinanza decisori  a,  instaurando  il
contraddittorio dinanzi allo stesso Collegio giudicante, anche  nella
medesima composizione, non costituendo tale opposizione un  mezzo  di
impugnazione sibbene uno  strumento  potestativo  di  attuazione  del
contraddittorio differito. 
    Il problema della costituzionalita' dei moduli procedimentali sub
1) e 2), in ordine  al  quesito  se  il  principio  costituzionale  e
convenzionale  di   pubblicita'   delle   udienze   giudiziarie   sia
soddisfatto o meno dalla previsione di subordinare  tale  pubblicita'
alla scelta potestativa della parte privata,  senza  prescriverla  ex
lege  nell'interesse  generale  alla  trasparenza  ed  al   controllo
popolare   dell'attivita'   giurisdizionale   -   salva   sempre   la
possibilita' delle porte chiuse per speciali ragioni di  riservatezza
meritevoli di tutela -  e  senza  prevedere  neppure  il  potere  del
pubblico ministero di chiederla e del giudice, anche motu proprio, di
disporla, e' problema  manifestamente  fondato,  ma  con  altrettanta
evidenza estraneo al petitum  ed  alla  causa  petendi  del  presente
giudizio. 
    Il problema della costituzionalita' del modulo procedimentale sub
3), anch'esso estraneo ai limiti  del  presente  giudizio,  e'  stato
comunque affrontato con le ordinanze n. 352/2003 e n. 291/2005  della
Corte costituzionale in materia di liberazione anticipata  e  risolto
in senso favorevole alla legittimita' costituzionale, nel presupposto
discutibile della natura  del  beneficio  individuata  in  una  «mera
riduzione  quantitativa»  della  pena  e  non  come  misura  premiale
assiologicamente e teleologicamente pregnante in chiave rieducativa e
risocializzativa, nonche'  alla  luce  degli  argomenti,  altrettanto
discutibili, della frequenza statistica degli  accoglimenti  e  delle
esigenze  della  prassi  giudiziaria  di  speditezza  e   snellimento
procedurale. 
    Si  pone,  invece,  in  tutta  la  sua  rilevanza   e   manifesta
fondatezza,  il  problema  della  (in)costituzionalita'  del   modulo
procedimentale sub 4) con riferimento al giudizio di  riabilitazione,
in quanto prevede l'esclusione «coatta» della  necessita'  originaria
della   partecipazione   delle   parti   processuali   e   del   loro
contraddittorio, della  presenza  personale  dell'interessato,  della
formazione  della  prova  nel  contraddittorio  e  della  pubblicita'
dell'udienza. 
    Il thema  probandum  ed  il  thema  decidendum  del  giudizio  di
riabilitazione vertono sull'accertamento altamente discrezionale  del
raggiungimento o meno delle finalita' rieducative, risocializzative e
riparative della pena espiata o comunque estinta. 
    A differenza della riabilitazione «di diritto»,  che  operava  ex
tunc,  con  effetti  dichiarativi,  al   verificarsi   obiettivo   di
determinati presupposti, istituto previsto dal codice penale italiano
del 1913  e  poi  abrogato  dall'attuale  codice,  la  riabilitazione
«discrezionale» opera ex nunc con effetti costitutivi  e  involge  un
complesso giudizio personologico ad elevato tasso di discrezionalita'
che presenta una duplice dimensione. 
    La  prima  dimensione  diagnostico-retrospettiva  e'  quella  che
accerta il requisito altamente discrezionale della buona  condotta  e
ricerca,  nel  tempo  trascorso  prescritto  dalla  legge,  le  prove
effettive e costanti di essa. 
    Buona condotta che va  intesa,  non  in  senso  eticizzante  come
emenda morale in foro interno, come tale  insondabile,  neppure  come
assenza di  procedimenti  penali  pendenti  o  di  rilievi  negativi,
reintroducendo in modo  surrettizio  una  riabilitazione  di  diritto
«travestita»,  bensi'  come  condotta  attiva,  non   necessariamente
esemplare, comunque rispettosa delle  leggi  non  solo  penali  dello
Stato laico, osservante dei doveri costituzionali del cittadino,  dei
principi di convivenza civile; una buona condotta  nel  senso  di  un
ravvedimento   «operoso»   attraverso    comportamenti    socialmente
apprezzabili, in particolare, attraverso il  risarcimento  dei  danni
morali e materiali alle parti  offese  e  l'adempimento  delle  altre
obbligazioni civili nascenti dal  reato,  nei  limiti  delle  proprie
possibilita', laddove il raggiungimento di tale finalita'  riparativa
rileva, non come fatto civilistico satisfattivo, sibbene quale indice
privilegiato di tale  ravvedimento  operoso  e  di  un  atteggiamento
resipisciente di autentica comprensione  del  disvalore  sociale  del
reato e di concreta solidarieta' verso le sue vittime. 
    L'altra dimensione di tipo prognostico-preventivo del giudizio di
riabilitazione si puo' desumere  dalla  rilevanza  della  recidiva  e
della delinquenza qualificata, ai fini dell'allungamento del  termine
temporale prescritto, nonche' della pericolosita'  sociale  derivante
dalla  sottoposizione  a  misura  di   sicurezza   come   impedimento
preclusivo ex lege del beneficio,  con  conseguente  incompatibilita'
tra il requisito della buona condotta e l'attuale  pericolosita'  del
riabilitando che, in  base  a  tale  assunto,  puo'  anche  risultare
aliunde e ope iudicis nel corso del giudizio. 
    Tale  dimensione  comporta  la  necessita'  giudiziale   di   una
inferenza prognostica  dei  comportamenti  futuri  del  soggetto,  in
particolare la  previsione  ragionevole  che  lo  stesso,  in  quanto
ravveduto, si asterra' dal commettere reati nel settennio successivo. 
    La duplice dimensione del giudizio di riabilitazione si apprezza,
altresi', considerando  l'efficacia  dell'istituto  che  realizza  la
restitutio  in  integrum   del   soggetto,   elidendo   gli   effetti
desocializzanti e stigmatizzanti derivanti dalla vicenda  penale  che
possono  essere  pregiudizievoli,  se   non   criminogeni,   comunque
d'ostacolo al suo pieno renserimento sociale. 
    Si pensi, a titolo  esemplificativo,  alle  facolta',  recuperate
grazie alla riabilitazione, di partecipare ai pubblici concorsi e  di
svolgere attivita' lavorative lecite,  in  mancanza  delle  quali  il
soggetto potrebbe essere indotto, se non  costretto,  a  ricadere  in
scelte di vita devianti e criminali. Si aggiunga che, se puo'  essere
pregiudizievole  o   addirittura   criminogeno   il   diniego   della
riabilitazione nei confronti di un  soggetto  meritevole,  in  quanto
ravveduto,  altrettanto  puo'  esserlo,  o  ancor  di  piu',  la  sua
concessione  senza  che  ne  ricorrano  i  presupposti   sostanziali,
consentendo al riabilitato  immeritevole  di  continuare  a  svolgere
attivita' illecite sotto  le  mentite  spoglie  di  una  ritrovata  e
bugiarda verginita' penale e sociale. 
    Alla  luce  delle  precedenti  considerazioni,  l'istituto  della
riabilitazione appare in tutta la sua importanza giuridica e sociale,
sicche' la sua applicazione processuale non  puo'  risolversi  in  un
giudizio notarile con rilascio cartaceo di un certificato burocratico
di buona condotta! 
    Si osservi ancora come nella foce del giudizio di  riabilitazione
confluiscono fiumi diversi, essendo  diversi  i  modi  di  estinzione
delle pene principali: l'espiazione carceraria della pena  detentiva,
l'espiazione della pena detentiva trasformata in executivis in misura
alternativa alla detenzione senza giudizio  finale  sull'esito  della
misura, come nei casi di detenzione domiciliare  e  di  semiliberta',
l'estinzione della pena  detentiva  a  seguito  del  giudizio  finale
sull'esito positivo dell'affidamento in  prova  al  sevizio  sociale,
anche  in  casi  particolari,  o  della   liberazione   condizionale,
l'estinzione a seguito della sospensione condizionale  della  pena  e
della   sospensione   condizionale   «condizionata»    della    pena,
l'estinzione a seguito di patteggiamento, l'estinzione a  seguito  di
amnistia  e  indulto,  l'estinzione   della   pena   pecuniaria   per
intervenuto pagamento, l'estinzione della pena pecuniaria insoluta  e
convertita nelle sanzioni sostitutive della  liberta'  controllata  e
del lavoro sostitutivo. 
    Se tali sono la  complessita'  sostanziale  e  processuale  e  lo
spessore cognitivo del giudizio di riabilitazione si deve  escludere,
con ferma convinzione giuridica, che lo stesso possa rientrare  nelle
ipotesi in cui la giurisprudenza costituzionale ed europea  ritengono
possibile  la  deroga  al  contraddittorio  necessario  con   udienza
pubblica e soddisfare i criteri che rendono legittimo il procedimento
a contraddittorio eventuale e differito. 
    Tali ipotesi e criteri sono riassumibili e riconducibili: 
        1) alla natura delle questioni trattate ed al loro  carattere
altamente tecnico; 
        2)  alla  non   particolare   complessita',   se   non   alla
semplicita', della regiudicanda; 
        3) alla frequenza statistica delle decisioni di accoglimento; 
        4) alle esigenze  di  economia  processuale  derivanti  dalle
prassi,  di  snellimento  procedurale,  di  accelerazione  dei  tempi
procedurali e di risparmio  e  migliore  destinazione  delle  risorse
organizzative. 
    Il   carattere   altamente   discrezionale   e   la   particolare
complessita' del giudizio di riabilitazione, come sopra  evidenziati,
escludono la sua sussumibilita' sub a) e b), laddove le ipotesi  e  i
criteri sub c) e d) non possono rivestire una autonoma  rilevanza  se
non congiunti ai caratteri precedenti, pena  l'ingiustificato  avallo
di prassi  decisorie  lassiste  con  rischio  di  elevato  numero  di
«cattivi» accoglimenti e di prassi acceleratorie in cui la fretta  e'
cattiva consigliera e rischia di partorire decisioni cieche. 
    L'incompatibilita' del giudizio di riabilitazione con il rito  de
plano si apprezza, altresi', dalla comparazione con le altre  ipotesi
in cui il legislatore ha previsto tale rito, in alcune delle quali la
scelta legislativa appare giustificata alla luce  dei  criteri  prima
esaminati (si pensi all'accertamento in caso di dubbio sull'identita'
fisica della persona detenuta, alla rateizzazione e conversione delle
pene pecuniarie, alla remissione del debito,  alla  esecuzione  della
semidetenzione  e  della  liberta'   controllata,   al   differimento
obbligatorio dell'esecuzione della pena dei numeri 1) e 2)  dell'art.
146 del codice di procedura penale,  mentre  in  altre  ipotesi  tale
scelta   si   rivela,   come   nel   caso    della    riabilitazione,
costituzionalmente censurabile (si pensi alla valutazione  giudiziale
sull'esito  della  liberazione  condizionale  e  dell'affidamento  in
prova, anche nei  casi  particolari).  Con  riguardo  a  tale  ultimo
giudizio, atteso il suo carattere discrezionale, la sua  complessita'
diagnostica  e  prognostica  e   la   sua   valenza   rieducativa   e
specialpreventiva, nonche' la sua diretta incidenza nella sfera della
liberta' personale del condannato,  questo  Tribunale  con  ordinanza
coeva ha sollevato analoga eccezione di incostituzionalita'. 
    Si aggiunga la considerazione che,  a  differenza  della  vigente
riabilitazione   «discrezionale»,   l'istituto    previgente    della
riabilitazione  «di   diritto»,   atteso   il   carattere   meramente
ricognitivo    del    relativo    provvedimento,    avrebbe    potuto
convenientemente trattarsi con il rito de plano. 
    Non bisogna, altresi', dimenticare che, ripercorrendo  la  storia
dell'istituto,  la  riabilitazione  veniva  trattata  nel  previgente
codice di rito con la forma provvedimentale «solenne» della sentenza,
di competenza dell'organo  apicale  della  giurisdizione  di  merito,
ossia  la  Corte  d'Appello.  Il  successivo  degrado   delle   forme
provvedimentali (da sentenza ad ordinanza) e processuali (da  udienza
camerale con contraddittorio all'attuale rito de plano) rischia, come
e' evidente, di degradare e svilire l'istituto sostanziale. 
    In tale ottica,  si  ritiene  opportuno  inscrivere  il  presente
scrutinio di costituzionalita' nel quadro della parabola normativa  e
giurisprudenziale che ha visto, in una  prima  fase,  il  progressivo
affermarsi del principio di  giurisdizionalizzazione  dell'esecuzione
penale e del procedimento di sorveglianza (dalla sentenza della Corte
costituzionale n. 204 del  1974,  alla  legge-delega  del  codice  di
procedura penale del 1987 che all'art. 2 n. 96 sancisce  le  garanzie
di giurisdizionalita' nella fase della esecuzione, con riferimento ai
provvedimenti concernenti le pene e le misure di sicurezza, fino alla
sentenza n. 53/1993 della stessa Corte costituzionale che ha  imposto
l'applicazione degli articoli 666 e 678 codice di procedura penale al
procedimento di reclamo avverso il provvedimento  di  esclusione  dal
computo della pena del tempo trascorso in permesso premio) e, in  una
fase successiva, il progressivo  abbandono  della  giurisdizionalita'
«necessaria»  in  favore  di  una  giurisdizionalita'  «eventuale»  e
«posticipata», con il rischio di una tendenza,  sia  legislativa  che
giurisprudenziale,    a    cartolarizzare,    deprocessualizzare    e
depersonalizzare il giudizio, sacrificando fondamentali  garanzie,  a
tutela sia dell'individuo che della collettivita', in omaggio  ad  un
paradigma di  efficientismo  giudiziario  che  privilegia  in  chiave
statistica la quantita' a  scapito  della  qualita'  delle  decisioni
giudiziarie. 
    Occorre, a parere del giudice remittente, invertire tale tendenza
e riaffermare che il procedimento giurisdizionale con contraddittorio
pieno, nella forma collegiale e con l'ausilio degli esperti,  non  e'
un  intralcio  alla   celerita'   ed   efficienza   delle   decisioni
giudiziarie, non e' un orpello inutile o una sovrabbondanza retorica,
sibbene e' il modello assiologicamente pregnante, il metodo  genetico
e   funzionale   della   giurisdizione   rieducativa,    in    quanto
costitutivamente    discorsiva,    dialettica,     multidisciplinare,
individualizzata  e  personalizzata,  garanzia   fondamentale   della
qualita'  dei  giudizi  personologici  e  prognostici,   fattuali   e
teleologici, architrave che lega  in  un  ponte  ideale  e  reale  il
Collegio giudiziale, da un lato, con  l'Istituzione  penitenziaria  e
l'equipe' di osservazione e trattamento,  dall'altro  lato,  con  gli
ambienti  sociali   e   istituzionali   esterni,   con   i   contesti
socio-familiari, con i Servizi territoriali e le  Forze  dell'ordine,
con le Agenzie primarie e secondarie di formazione, di (ri)educazione
e  di  mediazione  sociale,  culturale  e   penale;   contraddittorio
processuale che e' chiave di volta che unifica i saperi giuridici con
gli «altri» saperi, inverando l'idea e la realta' del procedimento di
sorveglianza  come  luogo  privilegiato  e  culmine  giudiziario  del
trattamento rieducativo che vede la persona e la comunita' al  centro
della prossemica processuale. 
    E' rispetto a tale profilo alto della  giurisdizione  rieducativa
ed ai giudizi altamente discrezionali in cui  essa  si  invera  e  si
concretizza che si pone la necessita' della pienezza  delle  garanzie
processuali secondo  il  brocardo  ubi  iudex  ibi  processus  e  ubi
processus ibi iudex. 
    In altri termini, il binomio  che  lega  la  discrezionalita'  al
processo e' costitutivo della giurisdizione rieducativa, sicche' piu'
elevato e' il tasso della discrezionalita' giudiziale, maggiore e' la
necessita' di un processo pieno iure in cui condividere i  pesi  e  i
rischi  di  tale  discrezionalita'  nella  collegialita'  «mista»   e
multidisciplinare e nella coralita' di tutti gli attori processuali. 
    Al contrario, il rito de plano nei giudizi  discrezionali  induce
fenomeni di cartolarizzazione, di burocratizzazione,  di  pregiudizio
routinario,  di  automatismo  decisionale,  di  monocratizzazione  di
fatto, rischiando di immiserire gli istituti  sostanziali  sottesi  a
tali giudizi, giacche'  degradare  il  rito  significa  degradare  la
misura cui e' preordinato, la cui dignita' dipende non  solo  dall'an
della concessione ma anche e soprattutto dal quomodo! 
    E' nel modus procedendi che si esalta o si mortifica la  funzione
nobile del processo! 
    In particolare, nel giudizio di riabilitazione -  che,  ripetasi,
non e' materia a carattere esclusivamente o prevalentemente  tecnico,
bensi' istituto in cui i profili prevalenti attengono anzi al  merito
discrezionale della valutazione diagnostica e prognostica  del  pieno
recupero del  condannato  e  del  soddisfacimento  di  tutti  i  suoi
obblighi - la cartolarizzazione del rito sacrifica il contraddittorio
inter praesentes, esclude la formazione delle prove  costituende,  in
particolare sottrae al Collegio giudicante ed alle parti  processuali
l'osservazione e l'audizione diretta del riabilitando,  impedisce  la
piena partecipazione di tutti gli attori processuali  e  opacizza  il
giudizio, gravido di conseguenze individuali e sociali,  in  un  cono
d'ombra che non consente il controllo  del  popolo  sovrano  e  delle
stesse vittime, attuali e potenziali, dei reati. 
    Invero, i plurimi profili di incostituzionalita' della disciplina
denunziata si possono osservare sotto i diversi  angoli  visuali  dei
vari protagonisti del procedimento di sorveglianza  e  delle  lesioni
degli  interessi  processualmente  qualificati  e  costituzionalmente
rilevanti di cui sono portatori. 
1) Dal punto di vista del soggetto interessato. 
    La  presenza   personale   dell'interessato   nel   giudizio   di
riabilitazione rappresenta un momento essenziale nel coronamento  del
percorso rieducativo, riabilitativo, riparativo e riconciliativo. 
    Il rito de plano  sacrifica  sine  iusta  causa  il  diritto  del
soggetto riabilitando a partecipare  personalmente  al  giudizio  fin
dalla sua scaturigine, nel contraddittorio delle  parti  processuali,
con l'assistenza tecnica del difensore e nel contatto diretto  con  i
giudici,  togati  e  non  togati,  influendo  ab  initio   sul   loro
convincimento, non solo con le prove documentali «precostituite»,  ma
anche e soprattutto con le prove  «costituende»  (osservazione  inter
praesentes  ed  esame   diretto   dell'interessato,   assunzione   di
testimoni, audizione di assistenti sociali, forze dell'ordine e - ove
necessario e opportuno -  delle  stesse  parti  offese  etc.),  senza
subire il pregiudizio di  una  decisione  cartolare  inaudita  altera
parte che non puo' non condizionare lo stesso  giudice  nel  caso  di
giudizio conseguente  alla  eventuale  opposizione.  Si  aggiunga  il
diritto e l'interesse del soggetto riabilitando all'udienza pubblica,
ossia a vedere riconosciuto pubblicamente  il  proprio  ravvedimento,
ottenendo  la  riabilitazione  attraverso  un   procedimento   avente
potenzialmente la medesima risonanza sociale e mediatica  rispetto  a
quello in cui ha subito la condanna. 
    Richiamando gli insegnamenti della giurisprudenza  costituzionale
ed  europea  in  ordine  alla  fondamentale   garanzia   dell'udienza
pubblica, illustrati nell'overture della presente ordinanza, non puo'
non riconoscersi tale  diritto  in  capo  al  soggetto  riabilitando,
attesa la natura ed il  carattere  del  giudizio  di  riabilitazione,
degli interessi ivi coinvolti, dell'elevata «posta in gioco» e  della
gravita' delle conseguenze. 
    Invero,  il  diritto  di  azione  e  di   difesa   del   soggetto
riabilitando non viene  soddisfatto  dal  semplice  esito  favorevole
dell'an della concessione, ma anche e, in un certo senso, soprattutto
dal suo quomodo, come pieno riconoscimento  giurisdizionale  del  suo
ravvedimento,  sicche'  una  riabilitazione  meramente  cartolare   e
fascicolare partorita nel chiuso di una Camera  di  consiglio  in  un
procedimento senza udienza  non  ha  lo  stesso  valore  personale  e
sociale, giuridico e morale, di una riabilitazione come apice in  cui
culmina dell'intera vicenda penale e come frutto maturo del  processo
giurisdizionale con udienza pubblica  nella  coralita'  dell'Aeropago
giudiziario! 
    Si  consideri,  tuttavia,  che  tale  diritto  non  puo'  trovare
attuazione nel rito de plano, in quanto procedimento senza udienza  e
senza  parti  costituite  e  come  tale  strutturalmente  inidoneo  a
realizzare  l'udienza  pubblica,  ne',  allo  stato  della  normativa
vigente e della giurisprudenza costituzionale, puo'  configurarsi  un
diritto potestativo del soggetto interessato a chiedere, nella stessa
istanza che promuove il procedimento, e ad  ottenere  per  saltum  il
rito con contraddittorio  pieno  nella  forma  dell'udienza  pubblica
possibilita' precluse alla parte pubblica ed allo  stesso  giudice  -
giacche' la Corte costituzionale, con la sentenza  n.  97/2015  prima
citata, ha statuito la garanzia e l'esercizio del diritto potestativo
all'udienza pubblica limitatamente alle  materie  di  competenza  del
Tribunale di  sorveglianza  che  vengono  trattate  nelle  forme  del
giudizio ex articoli 666 e 678,  comma  1  del  codice  di  procedura
penale e non nelle materie in cui e' previsto il rito de plano. 
    Si avrebbe cosi' il paradosso che il soggetto riabilitando  debba
passare strumentalmente attraverso la decisione de plano  allo  scopo
di opporvisi, indipendentemente dall'esito,  per  ottenere  l'udienza
pubblica, sia nel caso di accoglimento, ammesso che sia configurabile
in tale caso un interesse ad opporsi ad una  decisione  favorevole  e
con il rischio del re melius perpensa e della reformatio in peius nel
giudizio non impugnatorio conseguente a tale opposizione davanti allo
stesso giudice, sia nel caso di rigetto, con l  'ulteriore  paradosso
di dover auspicare tale rigetto ove costituisse  l  'unico  modo  per
opporsi ed ottenere l 'udienza pubblica nel conseguente giudizio  con
contraddittorio  e  di  dover  risentire  in  esso   il   pregiudizio
condizionante della precedente decisione negativa. Dal  labirinto  di
tali paradossi si puo'  e  si  deve  uscire,  a  parere  del  giudice
remittente, reinserendo a pieno titolo il giudizio di  riabilitazione
nel novero delle materie trattate con il procedimento pleno  iure  ex
articoli 666 e 678, comma 1 del codice di procedura penale. 
2) Dal punto di vista del difensore. 
    Il rito de plano sacrifica il diritto del difensore di esercitare
ab origine il suo munus difensivo nella immediatezza ed oralita'  del
contraddittorio, di fronte al giudice ed all'altra parte processuale,
nella deduzione dei mezzi di prova, nella loro assunzione in  udienza
e nella esposizione oratoria delle ragioni  tecnico-giuridiche  e  di
merito sostanziale, personali, familiari  e  sociali,  a  sostegno  e
suffragio dell'istanza di riabilitazione. 
3) Dal punto di vista della parte pubblica. 
    Premesso che il pubblico ministero, in quanto «parte  imparziale»
nell'interesse della legge, agisce sia a tutela degli interessi della
collettivita', sia a favore del soggetto riabilitando, ove  ricorrano
presupposti del beneficio invocato, risulta evidente che il  rito  de
plano impedisce alla parte pubblica di  contribuire  fin  dall'inizio
all'attivita'  istruttoria,  di  partecipare  all'udienza   ed   alla
formazione della prova, di influire  direttamente  sul  convincimento
del  giudice  e  di  non  vedersi   costretta   all'alternativa   tra
l'opposizione   strumentale   e   l'avallo   cieco    di    decisioni
preconfezionate, con il  rischio,  frequente  nella  prassi,  di  una
sostanziale rinunzia alla funzione di  controllo.  In  tale  contesto
occorre, invece,  riaffermare  il  fondamentale  ruolo  del  pubblico
ministero nel giudizio di riabilitazione, sia come advocatus  diaboli
per scongiurare le «cattive» riabilitazioni, sia come  amicus  curiae
per favorire le riabilitazioni «meritevoli», ruolo  che  il  rito  de
plano compromette gravemente. 
4) Da punta di vista del giudice collegiale. 
    Le garanzie del giusto processo, nel  loro  profondo  significato
gnoseologico ed epistemologico, si  configurano  come  irrinunciabile
metodo giudiziale, come esigenza cognitiva del giudice che deve poter
disporre di un quadro informativo completo e di un corredo probatorio
comprensivo  delle  prove  costituite   e   costituende,   dell'esame
personologico  diretto  del  soggetto  interessato  e  degli  apporti
conoscitivi di tutti  gli  attori  processuali,  nella  pienezza  del
contraddittorio giudiziale. 
    Si  aggiunga  che   l'udienza   che   ospita   e   governa   tale
contraddittorio, oltre  ad  una  fondamentale  funzione  conoscitiva,
riveste, altresi', una funzione orientativa delle  condotte,  ove  si
rifletta circa la natura della giurisdizione  rieducativa  in  quanto
esercitata rebus sic stantibus,  avente  oggetto  mobile,  in  cui  i
rapporti sottesi alla regiudicanda sono in continua evoluzione. 
    Si consideri, altresi', l'irragionevolezza e la  disfunzionalita'
di un sistema di contraddittorio differito ed eventuale che subordina
il  giudizio  con  cognitio   plena   all'iniziativa   delle   parti,
dimenticando che il beneficio,  la  sua  concessione  ricorrendone  i
presupposti o il suo diniego  in  difetto  di  essi,  corrisponde  ad
interessi pubblici che trascendono la sfera di  disponibilita'  delle
parti processuali, perfino di quella pubblica,  il  che  spiega,  tra
l'altro, la ragione fondamentalissima che sta alla base della  regola
aurea della procedibilita' ex officio nei giudizi di competenza della
Magistratura di sorveglianza! 
    Invero, il giudizio di  riabilitazione  non  e'  un  procedimento
«unilaterale»  nell'esclusivo  interesse  del  riabilitando   ed   il
carattere  indisponibile  degli  interessi  ivi  coinvolti  si   puo'
apprezzare,   tangibilmente,   esaminando   casi   pratici,    tratti
dall'esperienza giurisprudenziale, aventi valore paradigmatico. 
    Si pensi alla concessione con rito de plano della  riabilitazione
in favore dell'autore di un reato di  molestie  sessuali  di  modesta
entita', in  base  alle  risultanze  cartolari  attestanti  la  buona
condotta intesa come assenza di procedimenti  penali  pendenti  e  di
rilievi  negativi  (criterio  decisori  o  frequente   nelle   prassi
giudiziarie lassiste), senza aver  guardato  in  faccia  il  soggetto
interessato  e  senza  avere  con   lui   intrattenuto   un   dialogo
processuale, che in realta' si rivela un pericoloso stalker  pedofilo
nient'affatto ravveduto, come  sarebbe  invece  emerso  da  un  esame
approfondito nel contraddittorio processuale, il quale,  grazie  alla
riabilitazione  coperta  dal  giudicato  conseguente   alla   mancata
opposizione, ripulisce la sua fedina penale e viene assunto come baby
sitter da ignari datori di lavoro, pur guardinghi nel  richiedere  il
suo certificato penale, i quali finiscono con affidargli la cura e la
custodia dei propri figli minorenni. 
    Si pensi al caso opposto di un soggetto autore seriale  di  gravi
reati di rapine ed estorsione, autenticamente ravveduto e  desideroso
di reinserimento sociale,  con  l'urgenza  della  riabilitazione  per
accedere ad un posto di lavoro, cui l'istanza viene respinta con rito
de plano  per  difetto  dell'attivita'  risarcitoria,  attivita'  che
nell'udienza in camera di «consiglio» avrebbe potuto  orientarsi  nei
modi giusti e nei tempi utili, sollecitando ad esempio il rilascio di
dichiarazioni liberatorie delle parti offese o limitando  il  quantum
risarcibile secondo le concrete possibilita' economiche del soggetto,
il quale, a seguito del  rigetto,  perde  l'opportunita'  lavorativa,
cade in grave depressione e sfoga la  rabbia  e  la  disperazione  in
gesti autolesionistici e in manifestazioni eteroaggressive, ricadendo
nella spirale della violenza e del crimine. 
    In  entrambi  i  casi  il  rito  de  plan,  per  motivi  diversi,
partorisce esiti potenzialmente criminogeni, laddove, in presenza  di
un  quadro  informativo  completo,  garantito   dal   contraddittorio
iniziale e necessario e non eventuale e differito, la  riabilitazione
ab ovo non si sarebbe concessa nel primo caso e si  sarebbe,  invece,
concessa nel secondo. 
    Nel caso specifico, che ha originato  il  presente  giudizio,  il
condannato istante esibisce un  curriculum  criminale  costellato  da
reati di non particolare  gravita'  e,  tuttavia,  caratterizzato  da
recidiva specifica reiterata, e prospetta, nell'arco degli otto  anni
decorrenti dall'estinzione delle  pene  principali,  di  aver  tenuto
buona  condotta,  lavorando  come  pastore  e  pagando  le  spese  di
giustizia. 
    In realta', dietro il paravento delle  risultanze  cartolari  del
fascicolo e della loro ambivalenza o ambiguita', possono prefigurarsi
scenari diversi, personali, familiari e sociali, civili o  criminali,
che soltanto il pieno  contraddittorio  processuale  puo'  disvelare,
scandagliare e approfondire nei molteplici aspetti rilevanti ai  fini
della riabilitazione. 
    In simili casi, concedere o  negare  la  riabilitazione,  che  e'
beneficio  apicale,  senza  gli  apporti  conoscitivi   della   parti
processuali e dell'interessato nella  pienezza  del  contraddittorio;
significa concedere o negare «al  buio»,  in  base  ad  apparenze  o,
persino, ad evidenze cartolari che possono poi rivelarsi  ingannevoli
ed esser contraddette dalla realta' dei fatti. 
    Si osservi, infine, che il rito de plano, escludendo la  presenza
personale  del  riabilitando,  svuota  la   collegialita'   mista   e
multidisciplinare,  vanifica  il  ruolo  dei  giudici  esperti,   che
abbisognano dell'osservazione viva del processo inter praesentes  per
esercitare le loro competenze specialistiche, e induce  nella  prassi
giudiziaria  una   monocratizzazione   di   fatto   con   sostanziale
concentrazione del  reale  potere  decisionale  in  capo  al  giudice
relatore. 
5) Dal punto di vista del popolo sovrano. 
    Come visto in precedenza, il rito  de  plano  e'  strutturalmente
inidoneo a garantire il controllo del popolo sovrano, nel cui nome e'
amministrata la giustizia, in ordine alla trasparenza,  obiettivita',
imparzialita'  e  qualita'  delle   decisioni   giudiziarie   in   un
procedimento altamente discrezionale, come quello  riabilitativo,  in
cui   sono   coinvolti   fondamentali   e   indisponibili   interessi
costituzionalmente rilevanti della persona e della comunita'. 
    Non si comprendono le ragioni in virtu' delle  quali  l'ergastolo
debba infliggersi in udienza pubblica  nel  processo  di  cognizione,
l'applicazione  di  una  misura  alternativa  all'ergastolano   debba
celebrarsi  nel  giudizio  camerale  con  contraddittorio  pieno   ed
eventuale  udienza  pubblica,  mentre  la  concessione  allo   stesso
soggetto del piu' ampio  dei  benefici  come  la  riabilitazione,  in
quanto comporta la sua piena restitutio in integrum e rappresenta  il
momento apicale dell'intera vicenda penale, possa avvenire nel chiuso
di  una  udienza  camerale,  con  procedura  de  plano,  in   assenza
dell'interessato, senza parti processuali e con  esclusione  radicale
della possibilita' che le vittime del reato  partecipino  o,  almeno,
assistano all'udienza in cui si  discute  e  si  decide  della  sorte
riabilitativa del reo. 
    Se l'invocazione dell'udienza pubblica «necessaria», garantita ex
lege nell'interesse generale, non rientra  nei  limiti  del  presente
giudizio, la causa petendi ed il petitum di  esso  possono  e  devono
focalizzarsi in  ordine  alla  necessita'  originaria  del  rito  con
contraddittorio pieno, in cui sia garantita almeno la  «possibilita'»
dell'udienza pubblica, a richiesta  del  soggetto  interessato,  alla
stregua  dei  chiari  e  cogenti  insegnamenti  della  giurisprudenza
costituzionale.